La morte di Governi Una vita trascorsa con l’Edera nel cuore "La politica non deve mai più passare la mano dal cuore al portafoglio ma stare vicina alla gente e capirne le istanze". Questa citazione, che abbiamo trovato in uno degli ultimi interventi pubblici dell’amico Tristano Governi, meglio forse di qualunque altra è capace di trasmetterne lo spirito ed il modello politico che lo animavano. Tristano si è spento dopo una malattia che ne ha minato il fisico. La sua perdita, per il Partito repubblicano, è particolarmente dolorosa, e non solo dal punto di vista affettivo. Le sue doti di umana simpatia, di garbo, di sensibilità, sono sempre più difficili da trovare, e ci mancheranno molto. Ma la perdita grave è anche sotto il profilo politico, per il ruolo che era stato chiamato ad esercitare a Firenze ed in Toscana negli ultimi anni, come segretario regionale del Pri. Governi era un intellettuale riservato, poco avvezzo al protagonismo politico mediatico. Toni felpati, ironia, equilibrio spadoliniano lo caratterizzavano. Quando era chiamato a tenere discorsi pubblici si scherniva volentieri per nascondere la sua naturale timidezza. Prendeva in giro la sua mole che era imponente. Lo ricordiamo ad un dibattito dell’area laica - socialista di qualche anno fa, una tavola rotonda. Tutti seduti: "Scusate se mi alzo per parlare, ma mi sento un po’ stretto". Aveva bisogno di spazio: "Per questo presiedo volentieri i consigli nazionali". Ed era un ottimo presidente per la sua pacatezza, la sua qualità analitica, la sua obiettività. Ma non era un notabile, non lo fu mai per verità, nemmeno quando il Partito repubblicano a Firenze poteva dispensare incarichi. Non gli sono mai interessati. Tanto che chi lo conosceva bene rimase quasi stupito quando lo vide in prima linea dopo il congresso di Bari come segretario del partito in Toscana. Anni difficilissimi per il partito in quella Regione, eppure lui fu pronto a scendere in prima linea, "in trincea", come amava dire, pronto a strapazzarsi. Uno la cui massima ambizione era ascoltarsi Schumann e Schubert sul vecchio giradischi nel salotto di casa sua. Classe 1932, era iscritto alla sezione "G. Becciolini" di Firenze dal 1950. Tutta una vita nel partito. Rimase ferito a morte dall’omicidio di Lando Conti, ma quando il Pri ebbe bisogno di lui, non si tirò indietro. E iniziò a fare quello che non aveva mai fatto: il dirigente di partito a tempo pieno. Soffrì molto per la scissione di Bari, non accettava l’idea di un Pri diviso e litigò con molti amici della Toscana che avevano scelto l’Mre. Lo ricordiamo arrabbiato, eppure era uno pacioso che amava più trovare i punti di incontro che quelli di scontro. Sarebbe stato felice se il Pri fosse tornato ai suoi antichi splendori: li ricordava spesso con un po’ di malinconia. Riuscissimo a dargli un partito unito, se non altro per onorarne la memoria, ne sarebbe anche adesso felice. Per questo ci richiamava sempre al realismo. All’ultimo congresso disse: "I repubblicani si guardano in specchi deformanti e spesso non riescono a sapere chi sono". Un saggio richiamo al realismo che gioverebbe a tutti noi. Ciao Tristano amico di sempre e da sempre. |